26 settembre 2014

#Del(i)rio: quanto si risparmia? - quarta parte

Con la legge Delrio assistiamo, quindi, alla nascita di nuovi enti, la cui elezione non avrà alcun legame con la volontà popolare. Negli approfondimenti precedenti abbiamo analizzato le novità introdotte presentandovi anche gli scenari futuri e alcuni già attuali come le larghe intese di stampo "provinciale". Ma, dopo aver messo su questo nuovo mostro burocratico, dopo aver eliminato un altro momento per la partecipazione popolare, quanto si risparmierà realmente a seguito di questo provvedimento?

32 milioni, 160 milioni, o 2 miliardi di euro? Sotto con i numeri.
Simone Cosimi, in un articolo su Wired, ha scritto che «la svolta raccontata dal governo Renzi fa leva più sul dato politico che su quello sostanziale degli enti». Citando i dati UPI, mostra come rispetto a un costo del provvedimento di 2 miliardi di euro, il risparmio che si ottiene sia di 32 milioni di euro («la cifra corrispondente all’indennità degli amministratori», ha spiegato Antonio Saitta, presidente dell’Upi). Inoltre, continua Cosimi, «secondo l’Upi, le spese per gli organi istituzionali, cioè per far funzionare la macchina provinciale italiana, ammontano ad appena 78 milioni di euro. Questo è quanto si potrebbe effettivamente risparmiare dalla loro abolizione». La spesa di questi enti invece si aggira sui 10 miliardi di euro e nello studio viene chiarito che questa cifra rimarrà intatta perché destinata a servizi essenziali per gli abitanti (edilizia scolastica, urbanistica e viabilità, tutela ambientale, per citarne alcune).

Numeri differenti sono stati forniti da Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri. Intervistato a dicembre 2013, quando ricopriva la carica di ministro degli Affari regionali nel governo Letta, parlò di 160 milioni di «risparmi certi dovuti al fatto che 5mila politici (3 mila secondo le ultime dichiarazioni, il numero varia, come per gli 80 euro, ndr) non verranno più pagati», stimando anche ulteriori benefit per le casse dello Stato per via dello svuotamento di alcuni funzioni «come turismo, cultura, sport, promozione di fiere ». «Noi presumiamo – concludeva Delrio – risparmi attorno al miliardo di euro. Ma c’è chi, come l’Istituto Bruno Leoni, ritiene anche di più (come si evince da un focus pubblicato, dal titolo “Quanto costano le province?” in cui il risparmio stimato arriva ai due miliardi di euro)».

Il 16 gennaio scorso, la Corte dei Conti si era espressa in audizione in commissione Affari istituzionali sul ddl Delrio. Nel capitolo della relazione “costi e risparmi attesi”, i giudici contabili hanno puntualizzato come «nell'immediato, i risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi». Parere nel complesso già esposto nella stessa sede, un paio di mesi prima (il 6 novembre 2013): «Sotto il profilo dei possibili risparmi è da evidenziare che le economie attese dovrebbero riguardare essenzialmente parte della spesa per gli organi di direzione politica nonché gli oneri per le consultazioni elettorali. Solo per queste voci di spesa è possibile stimare, sulla base dei pagamenti registrati nel SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti pubblici) per quanto riguarda la spesa complessiva delle Province con riferimento all’anno 2012, un risparmio annuo oscillante tra i 100 e i 150 milioni di euro». Nella stessa occasione la Corte aveva aggiunto che «ulteriori riduzioni sono ipotizzabili all’intera spesa della Funzione I del bilancio provinciale (funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo)» che, nel 2012, era stata di circa 2,1 miliardi. Tagli di difficile realizzazione perché, continuavano i giudici, si tratta di «un coacervo di voci di spesa indifferenziate».

I deputati e i senatori del Partito Democratico, durante la discussione della legge sulla (finta) abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (che brilla per analogie con l’iter della legge Delrio), parlarono dell’assoluta importanza del finanziamento pubblico per la “tenuta democratica” del Paese, accusando il Movimento 5 Stelle di voler risparmiare sui “costi della democrazia”. Ora Renzi e il suo governo, con questa riforma, risparmiano sui costi di un turno elettorale diretto. Cosa è peggio?