19 settembre 2014

#Del(i)rio: la finta abolizione delle province - prima parte

Cari cittadini, state sereni: le province non sono state abolite.

Potremmo riassumere così, in quest’unica frase, il punto principale della riforma Delrio che doveva occuparsi di semplificare la mappa degli enti locali italiani, a cominciare dal riordino degli enti provinciali. Eppure ci piace riportare la definizione utilizzata da un giornalista pugliese, Roberto Straniero, che ha liquidato la riforma in questione con queste parole: “rendere il facile difficile, introducendo l’inutile". 

Al danno, la beffa: il Movimento 5 Stelle ha già dimostrato che se il tema della legge era risparmiare sulle indennità e sulle cariche delle amministrazioni provinciali, questo non succederà visto che mentre diminuiscono le “poltrone” provinciali, aumentano quelle dei Comuni sotto i 10mila abitanti. E quel che è peggio è che non mutano, se non in minima parte, i centri di spesa e il carico debitorio delle Provincie.

Passati ormai sei mesi dall’approvazione della riforma delle Province, dopo un anno e un governo di gestazione, ad oggi questi enti restano attivi con tutte le loro competenze e funzioni. In varie regioni d’Italia (ancora una volta la Puglia), si ipotizzano accordi politici sul modello delle larghe intese nazionali. Succede a Taranto, succede nella provincia Barletta – Andria – Trani. Queste discussioni politiche si riverberano anche sui tempi tecnici per l’allestimento dell’unico seggio elettorale (spesso all'interno della sede provinciale) e sull'organizzazione delle elezioni. Come ha ripetuto Giuseppe D’Ambrosio nei suoi interventi in aula in fase di discussione del provvedimento, al rientro dell’estate i cittadini hanno trovato gli uffici al loro posto, il portone aperto e la targa ancora attaccata. Nulla è cambiato, tranne il fatto che i cittadini non potranno più votare. Niente scelta, niente controllo degli eletti.

Si andrà a votare in tutta Italia fra il 28 settembre e il 12 ottobre, salvo ulteriori rinvii.

A far cadere la legge Delrio “in un limbo”, come ha scritto Sergio Rizzo sul Corriere della sera è stata  la mancanza dei decreti attuativi (che dovevano essere pronti a luglio, poi posticipati a non prima di settembre) tramite i quali una riforma prende vita. Continua Rizzo: “È chiaro che finché le funzioni non verranno ripartite fra i Comuni e le Regioni, le Province continueranno tranquillamente a vivere, sia pure formalmente un po’ diverse. Quasi tutte: vale la pena di ricordare che nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dove le disposizioni sull'abolizione del livello elettivo diretto provinciale non erano state recepite, i cittadini sono stati chiamati a rinnovare il consiglio provinciale di Udine neppure un anno fa. A dimostrazione del fatto che il partito delle Province è tutt'altro che sconfitto”.

Ad aprile, l'aula della Camera, con 260 sì, 158 no e 7 astenuti, ha approvato in via definitiva il ddl Delrio su città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni. A favore del ddl Delrio hanno votato Pd, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e Popolari per l'italia. Contro hanno votato Forza Italia, M5S, Lega Nord, Sel e Fratelli d'Italia. Gli unici ad aver protestato contro l’approvazione di questo disegno di legge, in ogni fase della discussione, sono stati i deputati e i senatori del Movimento 5 Stelle.

E chissà che il panorama non possa cambiare ulteriormente, magari con la riforma del Titolo V della Costituzione annunciato da Renzi. Del resto, ormai, siamo abituati. Approvata ad aprile 2014 dopo un lungo travaglio, questa legge è già stata modificata quattro volte nel giro di cinque mesi. Non ci facciamo mancare niente.

Torneremo sull'argomento  per conoscere nel dettaglio le misure che verranno adottate. Nel frattempo, non ci resta che rassegnarci all'idea di aver perso potere decisionale, ancora una volta.