Cari cittadini, state
sereni: le province non sono state abolite.
Potremmo riassumere così,
in quest’unica frase, il punto principale della riforma Delrio che doveva
occuparsi di semplificare la mappa degli enti locali italiani, a cominciare dal
riordino degli enti provinciali. Eppure ci piace riportare la definizione
utilizzata da un giornalista pugliese, Roberto Straniero,
che ha liquidato la riforma in questione con queste parole: “rendere il facile
difficile, introducendo l’inutile".
Al danno, la beffa: il Movimento 5 Stelle ha già dimostrato che se il tema della legge era risparmiare sulle indennità e sulle cariche delle amministrazioni provinciali, questo non succederà visto che mentre diminuiscono le “poltrone” provinciali, aumentano quelle dei Comuni sotto i 10mila abitanti. E quel che è peggio è che non mutano, se non in minima parte, i centri di spesa e il carico debitorio delle Provincie.
Passati ormai sei mesi
dall’approvazione della riforma delle Province, dopo un anno e un governo di
gestazione, ad oggi questi enti restano attivi con tutte le loro competenze e
funzioni. In varie regioni d’Italia (ancora una volta la Puglia), si ipotizzano
accordi politici sul modello delle larghe intese nazionali. Succede a Taranto,
succede nella provincia Barletta – Andria – Trani. Queste discussioni politiche
si riverberano anche sui tempi tecnici per l’allestimento dell’unico seggio
elettorale (spesso all'interno della sede provinciale) e sull'organizzazione
delle elezioni. Come ha ripetuto Giuseppe D’Ambrosio nei
suoi interventi in aula in fase di discussione del provvedimento, al rientro
dell’estate i cittadini hanno trovato gli uffici al loro posto, il portone
aperto e la targa ancora attaccata. Nulla è cambiato, tranne il fatto che i
cittadini non potranno più votare. Niente scelta, niente controllo degli
eletti.
Si andrà a votare in tutta
Italia fra il 28 settembre e il 12 ottobre, salvo ulteriori
rinvii.
A far cadere la legge
Delrio “in un limbo”, come ha scritto Sergio Rizzo sul Corriere della sera è
stata la mancanza dei decreti attuativi (che dovevano essere pronti a
luglio, poi posticipati a non prima di settembre) tramite i quali una
riforma prende vita. Continua Rizzo: “È chiaro che finché le funzioni non
verranno ripartite fra i Comuni e le Regioni, le Province continueranno
tranquillamente a vivere, sia pure formalmente un po’ diverse. Quasi tutte:
vale la pena di ricordare che nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
dove le disposizioni sull'abolizione del livello elettivo diretto provinciale
non erano state recepite, i cittadini sono stati chiamati a rinnovare il
consiglio provinciale di Udine neppure un anno fa. A dimostrazione del fatto
che il partito delle Province è tutt'altro che sconfitto”.
Ad aprile, l'aula della
Camera, con 260 sì, 158 no e 7 astenuti, ha approvato in via definitiva il ddl
Delrio su città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni. A favore
del ddl Delrio hanno votato Pd, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e Popolari
per l'italia. Contro hanno votato Forza Italia, M5S, Lega Nord, Sel e Fratelli
d'Italia. Gli unici ad aver protestato contro l’approvazione di questo disegno
di legge, in ogni fase della discussione, sono stati i deputati e i senatori
del Movimento
5 Stelle.
E chissà che il panorama
non possa cambiare ulteriormente, magari con la riforma del Titolo V della
Costituzione annunciato da Renzi. Del resto, ormai, siamo abituati. Approvata
ad aprile 2014 dopo un lungo travaglio, questa legge è già stata modificata
quattro volte nel giro di cinque mesi. Non ci facciamo mancare niente.
Torneremo sull'argomento
per conoscere nel dettaglio le misure che verranno adottate. Nel
frattempo, non ci resta che rassegnarci all'idea di aver perso potere
decisionale, ancora una volta.