Per intenderci, voi dareste mai il patrocinio della città ad un evento che come slogan usa «insieme per la beneficenza» ma che destina solo una minuscolissima parte dei 10 euro a biglietto alle opere di carità? Per giunta in merce, non in soldi. Non sia mai, ma è questo il business della beneficenza.
È il caso di "Il mio canto libero show" e dei suoi retroscena di cui potete ampiamente deliziarvi, si fa per dire, nel gruppo Facebook "AndriaSpia". Basta dire che gli stessi organizzatori, o presunti tali, si dicono «schifati». Così come il consigliere comunale di maggioranza che, anche se non si è capito bene di cosa, spiega di essere «a dir poco schifato». Sì, ok, tutti buoni, tutti belli. Ma intanto il patrocinio glielo avete dato proprio voi. E chissà a quant'altra robaccia simile.
E pensare che basterebbe adottare qualche punto di quello che Filippo Galentino, dell'associazione "Vite in ballo" e volontario della casa accoglienza "Santa Maria Goretti", propone come «codice etico per la beneficenza».
Se non altro, eviteremmo la finta beneficenza, le percentuali ridicole di fondi destinati alla solidarietà e lo spettacolo raccapricciante del «tutto a nostra insaputa» di chi poi le porcherie le organizza e vi concede pure il patrocinio. Anche se, pensandoci bene, a che servono queste iniziattive «schifose» quando il Comune, per legge, è tenuto ad attuare politiche sociali?
- Individuazione del beneficiario: chi beneficerà dei fondi raccolti? È di assoluta importanza la chiara e specifica individuazione del destinatario della beneficenza. Per intenderci, dichiarare che i fondi raccolti verranno destinati (esempio) “ai bambini dell’Africa” è piuttosto generico [...]
- Metodologia della raccolta dei fondi: L’offerta è libera? È legata all’acquisto di un prodotto/biglietto e quindi ha un prezzo minimo prestabilito? Quali sono le modalità di raccolta e quali i luoghi e le persone deputate alla stessa? Dopo quanto tempo la somma raccolta sarà devoluta all’ente beneficiario? Tutto questo dovrà essere ben chiaro ai potenziali benefattori;
- Rendiconto pubblico di ogni voce in entrata e in uscita: a fine campagna (o comunque a breve scadenza), i promotori dell’iniziativa benefica dovrebbero rendere pubblici i dati della raccolta fondi, il tutto in maniera dettagliata e riscontrabile [...];
- Determinazione, a priori, della percentuale realmente destinata alla beneficenza: questo è forse il punto più difficile da rispettare ma potrebbe essere un principio a cui tendere, perlomeno. Infatti, se da un lato è innegabile che ci siano delle spese da affrontare per l’organizzazione di un’iniziativa di beneficenza, dall’altro si dovrebbe cercare il più possibile di coprire queste spese con finanziamenti e servizi gratuiti ottenuti da partners (pubblici e/o privati) in modo che tutto il ricavato di una vendita o di una raccolta benefica sia trasferito ai destinatari [...];
- Coinvolgimento dell'ente beneficiario: A tutela sia del beneficiario che dei benefattori, sarebbe opportuno che un rappresentante dell’ente beneficiario fosse direttamente coinvolto in tutte le fasi di vita dell’iniziativa, avendo contezza di ogni singolo aspetto [...].
Che poi tutto sono tranne le misere donazioni alla "Goretti" (25mila euro all'anno), così, giusto per placare il senso di colpa, in teoria. Che a quanto pare si esorcizza rapidamente con l'allegria di alcune "iniziative culturali", tipo il Carnevale (50mila euro in 3 giorni), il concerto della Vanoni (27mila in 1 giorno), e molte altre ancora, fatte passare sistematicamente per «successi di pubblico».
Se questa è «beneficienza», preferisco la nobile dignità dei poveri all'ipocrisia pezzente dei ricchi. Che poi, ricchi sì, ma di cosa?