16 maggio 2014

La folle impresa

Si parla di immigrati come se si trattasse di animali, come di una mandria selvaggia che arriva nel nostro Paese a rubarci il lavoro. Tendiamo a vedere con superficialità questo fenomeno, senza approfondirne le cause. Il moto perpetuo degli scafi che raggiungono le nostre coste è probabilmente uno dei drammi più forti dei nostri tempi.


Li abbiamo definiti clandestini.

Alla fine di un lungo viaggio, dopo le privazioni, dopo i rischi della lunga marcia nel deserto, il loro coraggio, il loro sogno di una vita migliore non è altro che un atto criminale, secondo la legge italiana. Questi viaggi della speranza hanno un caro prezzo economico: il loro viaggio costa soldi, tanti soldi, e spesso il prezzo da pagare è la vita. Il Mediterraneo è diventato un vero e proprio cimitero per chi non ce l'ha fatta, per chi ha esaurito le forze o ha scelto la barca sbagliata o per chi è stato volutamente abbandonato in acqua. 


Questa è la folle impresa: se non ci preoccupiamo di guardare oltre, di capire quali sono le condizioni che portano questo carico di disperazione da una costa all'altra non capiremo mai chi si gioca il tutto per tutto pur di lasciarsi alle spalle guerre civili, povertà e persecuzioni. Chi scappa lascia la propria famiglia, le proprie origini, le proprie radici culturali, religiose, civili, sapendo di non poter contare sull'aiuto di nessuno, incrociando le dita. Quelli che sopravvivono vengono detenuti per giorni in "magazzini di uomini". Ci restano mesi, alcuni addirittura anni. Piccole detenzioni, poi trasferimenti in altri centri in giro per l'Italia. Poi via, di nuovo nei loro paesi o chissà dove e il giro ricomincia. 


Siamo abituati a vedere questi uomini e queste donne come delle locuste affamate, dei barbari. Invece sono anche medici, architetti, docenti, operai, falegnami, elettricisti. Vengono qui per trovare una vita migliore, lasciano le loro case e la loro miseria e portano con loro ciò che hanno appreso, la loro cultura. Umiliano la loro dignità per fare qualsiasi lavoro che noi non vogliamo più fare. 

Questo è quello che dovremmo tenere a mente perché questo è ciò che siamo stati anche noi, gli italiani dei primi del 1900, quei nostri bisnonni e nonni che furono gli immigrati di Brasile, Argentina, Uruguay, Canada, Stati Uniti. Ma probabilmente non è solo una questione tutta italiana, visto che casi di maltrattamento degli immigrati si sono avuti anche in altre zone d'Europa. Abbiamo dimenticato la nostra storia, i nostri valori. Ci indigniamo per qualche parola volgare e dimentichiamo che "clandestino" è una parola peggiore. In occasione di queste elezioni europee vogliamo mandare un messaggio diverso, non elettorale e non propagandistico: i migranti non sono e non possono essere un problema dell'Italia. Sono le cause del loro esodo ad essere un tema che l'Europa, se ha ancora il buonsenso di essere comunità, deve affrontare convintamente con risorse e soluzioni che non possono essere lasciate nelle mani di chi ha la responsabilità e il dovere di accogliere questi disperati.