23 ottobre 2013

Stop alla liberalizzazione degli orari di apertura

"È successo pochissime volte nella storia della Repubblica che un testo arrivasse in aula per essere immediatamente 'sbianchettato', cancellato". Lo denunciano il deputato del MoVimento 5 Stelle Michele Dell'Orco e gli eletti in Commissione Attività produttive, in relazione alla proposta di legge M5S che rivede la disciplina degli orari di apertura del commercio la domenica e nei festivi, demandando la materia alla potestà di Regioni ed enti locali. Il far west delle aperture domenicali e festive negli immensi centri commerciali sta uccidendo i piccoli negozianti e sta finendo per desertificare i nostri centri storici.

Il governo Monti, quelli dei professori venuti da Marte, aveva pensato bene di liberalizzare in modo selvaggio gli orari della distribuzione. Risultato? I consumi in flessione, i diritti dei lavoratori (dipendenti e commessi) gettati nel cestino e il minimarket o il piccolo alimentari sotto casa che fa i salti mortali per restare aperto.

Cosa vuol dire, concretamente, liberalizzare l’apertura dei negozi?
«Per il commerciante italiano tipo, conduttore autonomo del proprio esercizio, vuol dire dedicare tutto il tempo personale, di tutti i giorni della settimana. Vuol dire impegnare una ulteriore parte dei propri decrescenti introiti d’impresa nei sacrosanti compensi del personale, diretti e indiretti. Vuol dire, ancora, sacrificare ogni opportunità di relazione personale, familiare, sociale, culturale e religiosa al mito fasullo del "fine lavoro mai".
Accogliere i clienti sette giorni invece che sei non offre alcun sollievo all'economia se la gente non ha comunque denaro da spendere. L'Iva aumenta, le tasse rincarano, il lavoro manca, le buste paga si alleggeriscono. Gli italiani vanno nei centri commerciali solo per passeggiare e per ritrovarsi. Ma di buste piene se ne vedono sempre meno.
Nelle periferie sorgono finti templi scintillanti del consumo che non c'è. Ma intanto le nostre splendide città si trasformano in luoghi fantasma, con strade abbandonate al buio e allo squallore.

Migliaia di microimprese del commercio hanno chiuso per colpa della deregulation del primo governo delle larghe intese. La presunta concorrenza tra piccole imprese e centri commerciali è finta, perché i dettaglianti che punteggiano vicoli e piazze antiche non possono farcela a reggere il ritmo, mentre i megastore costringono i dipendenti a turni massacranti e a festività tra gli scaffali con contratti precari e salari da fame. Chi lavora nei centri commerciali ha visto ridurre drasticamente il tempo da dedicare alla famiglia, qualcuno ha rischiato di perdere il posto per aver avuto il torto di volersi sposare di sabato. Ma intanto la gente non spende più di quanto spendeva prima.

Il M5S ha ascoltato le associazioni di categoria e ha proposto di rivedere il regime imposto da Monti. La proposta di legge, a prima firma Michele Dell'Orco, recepisce i suggerimenti di Confesercenti e stabilisce di affidare la disciplina delle aperture festive alle Regioni e agli enti locali. La maggioranza delle lobby e dei grandi potentati economici, che aveva votato le liberalizzazioni di Monti, ha prontamente presentato gli emendamenti soppressivi che cancellano, "sbianchettano" tutti gli articoli uno per uno. La legge arriva in aula conservando solo il titolo.


In altri Paesi, come Germania ed Inghilterra, non esistono liberalizzazioni selvagge e si tutelano sia i lavoratori che le imprese familiari, mentre in Italia il sistema dominante non può accettare una proposta di buonsenso che arriva dal MoVimento. I cittadini si sono espressi contro le liberalizzazioni già in un referendum datato 1995.
Loro devono difendere i santuari dei centri commerciali, dietro i quali girano immensi interessi, dalle banche ai soliti cementisti, dalle cooperative alla mafia. Di costoro, e solo di costoro, si preoccupano da sempre PD e PDL. Dei lavoratori, delle piccole imprese e del commercio di prossimità non gliene importa nulla a nessuno.